Un weekend d’innovazione Sociale

Durante il weekend appena trascroso HUB Milano ha dato il meglio di sè ospitando i 3 giorni di workshop del SiCamp. Il format vanta già una ventina di workshop in tutto il mondo e in questi mesi Milano ha ospitato il primo appuntamento italiano con l’innovazione sociale formato fast & tech.

Serata di apertura SiCamp Milano

La call for entries lanciata ad inizio primavera ha raccolto 187 idee di progetto che miravano a risolvere i piccoli e grandi problemi che noi tutti ci troviamo ad affrontare quotidianamente: cose come l’utilizzo degli spazi pubblici, problemi linguistici degli stranieri in italia, il degrado di alcune aree urbane,…
Ogni submission cercava di dare una soluzione semplice e digitale al problema identificato, soluzione che però doveva prevedere un modello di business sostenibile a livello economico; perché l’innovazione sociale è così importante da non potersi più permettere di fare affidamento sull’elemosina e sul volontariato.

Una giuria di esperti ha poi selezionato i 6 progetti più in linea con la filosofia SiCamp e più adatti al modello che prevede un’incubazione full immersion di un weekend durante il quale i team di startupper vengono affiancati da una serie di esperti e facilitatori che in meno di 48 ore portano il pre-seed allo stadio di seed, pronto cioè per il primo incontro con i potenziali investitori per raccogliere i primi feedback, che indicheranno le direzioni da prendere nei 3 mesi successivi d’incubazione tradizionale.

I progetti selezionati sono:
Bircle di Andrea Landini
Il nome deriva da Building+Circle e descrive un progetto mirato a creare tramite gli User Generated Contents, un database sul grado di accessibilità degli edifici rispetto a utenti diversamente abili. La classificazione tiene in considerazione diversi aspetti come la presenza di parcheggi e WC appositi, l’accessibilità dell’ingresso, la navigabilità degli spazi,… considerando i diversi gradi e tipologie di disabilità.

km0_community di Silvia Givone
Km0 durante il weekend è poi stata rinominata NEARBUY.it – è facile comprare con i tuoi vicini.
Consiste in un servizio online che semplifica notevolmente l’organizzazione e la gestione degli ormai diffusissimi Gruppi di Acquisto Solidale, rendendo questa buona pratica accessibile anche a persone con poco tempo.

Nabatà (parola araba che significa “il crescere delle piante”) di Cinzia Vangelista
conosco.scelgo.compro
acquistare cosmetici oggi è molto complesso, i principi attivi e gli effetti sono sempre più indecifrabili e difficili da sviscerare, ci sono molte leggende metropolitane e integralismi poco motivati; Nabatà si propone di creare un app e un sito che aiutino in consumatori nel punto vendita a identificare in maniera rapida e semplice i prodotti che rispondono alle loro necessità. Pensiamo a celiaci, intolleranti e allergici, ma anche vegani e consumatori eticamente sensibili che cercano prodotti non testati sugli animali.

Terza Primavera di Massimiliano Manzoni
Il Digital Divide per le generazioni anziane è un fenomeno in crescita, oltre ai limiti di conoscenza dei software ci sono anche limiti fisici di utilizzo. Il team di Terza primavera ha realizzato che potenzialmente gli smart phones sono i più indicati a colmare questo divide perchè l’interfaccia è più facilmente adattabile rispetto ai vecchi cellulari con schermi troppo piccoli o pulsanti poco pratici. Si sono quindi impegnati a identificare quali funzioni e necessità gli over 65 possano avere, non dimenticando alcune intelligenti features che facilitino anche la supervisione/interazione dei parenti e amici.

TocToc movement
someone has what you need

Il team più giovane presente all’evento si è preoccupato di risolvere il problema degli sprechi nella nostra società consumistica immaginando una mappa che mostra quali oggetti intorno a noi stiano cercando nuovi padroni e nuova vita.

www.raccomandate.it di Riccarda Zezza
casa figli e genitori, a chi dai le chiavi dei tuoi amori
Il mercato delle colf-baby sitter e bandanti si muove solo tramite il passaparola, tutti noi vogliamo persone fidate a cui affidare le nostre case o i nostri parenti, da qui l’idea, creare una piattaforma modello linkedin dove queste persone possano promuoversi ottennedo raccomandazioni e beneficiando dei network dei loro clienti acquisiti.

Gli aspiranti startupper hanno avuto un weekend di tempo per spremere i diversi esperti che avevano accettato di mettere le proprie competenze a disposizione, c’erano grafici, web developer, business planner, imprenditori navigati,… alcuni si sono immediatamente appassionati ad una o all’altra idea arricchendo con la loro presenza il team di partenza. L’integrazione delle risorse nei team di progetto era uno degli obiettivi non dichiarati del weekend; gli startupper infatti erano spesso persone con background molto lontani dalle idee proposte, come nel caso di Cinzia, Niccolò e Elena, idatori di Nabatà, due consulenti finanziari ed un magistrato alle prese con il consumo consapevole e la composizione chimica dei prodotti cosmetici.

Gruppo Nabatà al lavoro

L’intenso lavoro cerebrale era compensato dall’ottimo servizio catering curato da ZeroBriciole una startup nata proprio tra i tavoli di cartone di HUB. I partecipanti al Camp erano viziati con prodotti sani e nutrienti, sempre serviti in modo creativo e simpatico, i  momenti ristoro oltre a rialzare i livelli glicemici aiutavano anche ad alleggerire il morale mantenendo vivo l’entusiasmo dei partecipanti che così invece di rimpiangere il weekend al lago innvavano divertendosi.

sketches dal sicamp Milano

Domenica dopo pranzo è arrivata la giuria, la tensione aveva lasciato spazio alla curiosità di scoprire che cosa i diversi gruppi fossero riusciti a tirar fuori in così poco tempo, e scoprire se i diversi consigli scambiati tra i team durante le pause in giardino fossero stati applicati o meno.

Due giorni di lavoro intenso a così stretto contatto creano un clima di condivisione e familiarità molto particolare, si sono create molte connessioni interregionali e internazionali, che auspicabilmente contamineranno con la social innovation nuovi progetti e collaborazioni. Neanche la prima partita italiana agli europei è riuscita ad incrinare il clima familiare che si era creato, l’1-1 del risultato ha fatto ugualmente felici gli spagnoli e italiani presenti.free hugs

Design italiano=fare all’italiana?

La scorsa settimana ho fatto da guida ad un gruppo di manager da tutto il mondo, erano interessati al design italiano, così mi è stato detto di portarli a visitare la mostra “Il gioco e le regole” una monografica sullo studio De Pas D’urbino Lomazzi in Triennale fino al 17 Giugno 2012.

poster mostra triennale

Sono rimasti a bocca aperta davanti alla geniale semplicità di quei pezzi, per alcuni dei quali li ho sentiti commentare: “ah, quello assomiglia al mobile IKEA”. Alla fine del giro i più interessati si sono fermati a chiedermi come mai il design italiano abbia smesso di creare oggetti così innovativi e rivoluzionari, la creatività è migrata verso i paesi scandinavi?

La risposta non è stata facile, una cosa che ho sottolineato durante il tour era che i tre designer erano molto attenti alle mode del periodo, capaci di creare oggetti che rappresantavano una generazione; ma a questa sensibilità si accompagnava sempre un’attenta ricerca tecnica e industriale. De Pas in particolare sosteneva che il design doveva sempre svilupparsi attorno ad un’idea chiara; il compito del designer in un certo senso era trovare quell’idea e poi assieme all’imprenditore/produttore partiva la ricerca tecnica che permetteva di trovare la miglior soluzione costruttiva per rappresentare al meglio quell’idea.

Questo iter è lo stesso che percorrevano i primi grandi designer, Castiglioni e Magistretti, e lo stesso che si possono ancora permettere di percorrere i designer affermati di oggi come Zaha Hadid, Naoto Fukasawa, Oki Sato,… che adorano lavorare con le aziende italiane per questa disponibilità a trasformare in realtà le loro visioni ed idee.

Che cosa c’è di diverso tra questo modo di fare design e quello di IKEA o di MUJI o ancora UNIQLO?
Noi italiani siamo sempre stati raccontatori di storie, mentre IKEA parla il linguaggio della funzionalità, dell’accessibilità e dell’uniformità. Noi italiani non siamo mai stati molto pratici e oserei dire del tutto contrari all’unifomità, basti pensare ai nostri dialetti, alla cucina regionale, e alle mille versioni di caffè che siamo riusciti ad inventarci; questo è probabilmente il motivo per cui non abbiamo mai creato grandi corporazioni come quelle americane o come IKEA appunto. L’italiano è individuo, e come tale fatica a mettersi in network o a pensare su larga scala.

Siamo quindi destinati a soccombere schiacciati dalla concorrenza straniera?
No io non credo, a mio parere però ci siamo lanciati in un torneo senza esserci prima fatti spiegare le regole. Noi popolo di calciatori, ci siamo messi a giocare a football americano convinti che si tratti della stessa cosa, ma non è così, e lo stiamo vedendo chiaramente sul mercato. Ci sono paesi più preparati di noi a creare il design funzionale e accessibile, su questo non c’è dubbio, giapponesi, scandinavi e tedeschi sono culturalmente avvantaggiati, ci sono poi paesi in grado di fare prodotti a basso costo, come la cina e il medio oriente; ma rimane ancora una campo libero in cui giocare, si tratta del campo del significato.
Noi italiani dovremo ricominciare a fare ciò che ci riesce meglio, raccontare storie, creare ideali come “la bella vita” magari aprendoci alla tecnologia; l’arretratezza delle infrastrutture e il deficit del non essere bilingui ci stanno tenendo in forte ritardo rispetto agli altri paesi avanzati. De Pas, D’Urbino e Lomazzi erano riusciti a creare la poltrono Joe, simbolo della cultura pop del momento, dedicata a Joe DiMaggio; erano usciti dal confine nazionale per raccogliere stimoli e contenuti su cui poi creare il loro prodotto più conosciuto. La gente non ha più bisogno dell’ennesima sedia, la gente vuole delle esperienze, IKEA oltre ad essere un produttore di mobili ha rivoluzionato il concetto di arredare casa, sta usando l’augmented reality per rendere meno stressante l’esperienza e per permettere a chiunque di avere una casa ben arredata. Apple non vende solo computer e telefoni, Apple è “think different” un’esperienza di vivere alternativo, come diceva il loro claim.

Moroso, Kartell, Alessi, Artemide, ma anche Armani e Valentino sono ferme ai loro albori. Hanno creato il concetto di Design quando non c’era ancora, ma oggi faticano a identificare il loro posto sul mercato.

Noi italiani non siamo algidi e longilinei come gli svedesi, non siamo spirituali e composti come i giapponesi, e men che meno totalizzanti conquistatori come gli americani, ma siamo ottimi diplomatici, sappiamo creare storie, siamo cuturalmente votati al bello grazie al nostro paese; queste sono le forze che se ben investite ci possono far trovare un nostro posto nella competizione globale.

yoox adv

Yoox è un ottima esemplificazione di azienda italiana, racconta le storie sul digitale di migliaia di brand, ha creato un’esperienza attorno alle sue scatole colorate e ha saputo interpretare le aspettative del consumatore mediandole con le necessità organizzative aziendali.

Un altro caso e Eataly, Glancee è una startup italiana che permetteva di passare dall’interazione sui social media a quella reale grazie alla geolocalizzazione che permetteva di scoprire chi dei tuoi amici era nei paraggi, beh qualche settimana fa è stata aquistata da Facebook.

Noi italiani dobbiamo tornare a sintonizzare le nostre antenne sul mondo, per troppo tempo ci siamo persi nelle nostre beghe di giardino tirando fuori il peggio del fare italiano trasformando la diplomazia in loschi maneggi, il raccontare storie in ingannare e gettare polvere negli occhi dell’opinione pubblica, e la cultura del bello in impoverimento di contenuti, tanto basta che sia bello…

L’innovazione riparte dai materiali

Quest’anno al fuorisalone del mobile si sono moltiplicati quegli oggetti che osservati da una certa distanza erano curiosi, poi man mano che ci si avvicinava scattava quell’effetto wow dato da un dettaglio che non si era notato prima e che cambia completamente il significato dell’oggetto stesso. Inutile dire che adoro questo tipo di design, capace di giocare sottilmente con la parte più infantile dell’essere umano, stuzzicare la curiosità per poi sorprendere. Nella maggior parte dei casi il gioco avveniva sul piano del materiale utilizzato, si sono quindi moltiplicati i cartelli PLEASE DON’T TOUCH nei vari stand, ma la curiosità era troppo forte per limitarsi ad osservare; gli oggetti ti chiamavano, volevi scoprire di cosa fossero fatti.

La sperimentazione si è mossa in due direzioni principali su un unico asse. Da un lato i progettisti si sono addentrati alla scoperta della vera essenza dei materiali, per comprenderne le caratteristiche e sviluppare un design che le amplifichi e ne tragga il massimo beneficio.

Come ha fatto lo studente israeliano Roi Vespl Yanoi che utilizza plichi di fogli per dare flessibilità alle sue lampade.

Lampade Arm by Roi Vespl Yanoi

La carta poi diventa lampada per due designer di Haags Werk:

Lampade in cartone by Inge Simonis - Haags Werk Book light by Barbara Vos - Haags Werk

E si reinventa come moderna clessidra

Chrono Shredder by Susanna Hertrich

Ai designersblock dove la cera viene utilizzata per fissare uno sgabello stile Jenga

sgabello in legno fissato con cera

I tappeti vengono usati per creare un comodo giaciglio/tana

Tuft by Numen - making together - Lambrate

Il marmo per creare luci soffuse

Triennale - marmo come illuminazione Triennale - marmo come illuminazione

E i metalli come studio sui colori

True Colors - porta Romana

Il cemento nel campo dell’edilizia ha recentemente trovato una nuova formula, viene prodotto in tubi che possono essere modellati. I giovani designer italiani di Alhambretto utilizzano questo nuovo materiale per l’arredo del bagno.

In questi progetti vediamo come il materiale è la fonte primaria di significato per il design stesso, le forme non seguono la funzione, e neanche l’estetica pura, ma si adattano al materiale utilizzato.

Non tutti i progettisti però seguono rispettosamente le caratteristiche dei materiali esistenti, altri hanno un approccio opposto spingendo i materiali oltre i limiti del presente, decontestualizzando e aprendo nuovi o vecchi orizzonti.

Vediamo quindi come per Mini la trasparenza diventa impressione fotografica, e realizza dei finestrini con una loro memoria:

finestrino con paesaggio by Mini - Interni Legacy

Nendo e due studenti della Royal college of art giocano con il polistirolo, il primo creando delle sedute:

dettaglio sedia polistirolo by Nendo Trial & Errors

I secondi creano Silo; il polistirolo viene compresso all’interno di fodere in tessuto e diventa un materiale resistente e solido:

Silo by silo studio - Present paradises - Royal college of Art

Silo by silostudio - Present paradises - Royal college of Art

Bisazza reinventa il vetro ed il marmo in chiave mosaico, giocando con nuovi effetti e le trasparenze:

vetri a mosaico realizzati da Bisazza  marmo mosaicato by Bisazza

I tappeti diventano ritratto tridimensionale:

Face to Face by brian Frandsen - kolding school of design

Reti, chiffon, veli diventano risorse preziosissime per giochi di luce, creazioni effimere e tessuti tridimensionali:

 dettaglio dei tessuti Flagmented project by CTRLZAK dettaglio installazione da Nendo Trial & Errors dettaglio chiffon light by Norie Matsumoto - Present paradises - Royal college of Art dettaglio tessuto tridimensionale con cubi trasparenti e dorati

Alcuni progetti sperimentali esplorano le caratteristiche della tela di ragno, come fonte di fibre resistenti e naturalmente sostenibili. Forse un domani ci troveremo tutti ad allevare i ragni in casa per avere materie prime da usare quotidianamente.

Ragno usato nel progetto Spider Farm

Heike Buchfelder crea delle lampade poetiche utilizzando le piume d’oca, che profumano di passato e di favola…

dettaglio lampada Pluma Cubic Lighting

come del resto fanno le pietre rivestite in lana dei Designersblock espsote al MOST

sassi e pietre ricoperti in tessuto

Ma non sempre le sorprese architettate dai designer hanno un risvolto piacevole o poetico, alcuni di loro, spingendosi sul filo della curiosità sono sconfinati nell’ironia, sarcasmo e a volte anche sadismo:

come le scarpe decorate con unghie finte

Scarpe decorate da unghie finte - Rhode island school of design

O il vestito fatto di mascherine mediche

abito fatto da mascherine mediche - Rhode island school of design

Ammetto poi di aver provato un certo ribrezzo di fronte ai bicchieri impastati con capelli umani di Thomas Vailly:

the metabolic factory by Thomas Vailly

O di fronte ai pulcini inbalsamati ed utilizzati per creare un cappello in pelliccia (o piumiccia?) con tanto di pom-pom muniti di zampe.

pulcino impagliato pulcino burattino berretto fatto con piume di pulcino con pom-pom con zampe

Infine la stampa 3D fa il suo ingresso tra gli oggetti di design, con la sua estetica grezza e molto caratterizzante:

Triennale - Servizio di tazzine stampate in 3D

Per creare nuove geometrie

bottiglia coca cola stampata in 3D - Design Academy Eindhoven

e per stampare materiale commestibile, come la cioccolata

Stampante per cioccolatini

O per parlare del futuro della produzione come nel caso di Markus Kayser del Royal college of Art con il suo Solar Sinter: produzione 100% sostenibile, realizzata con sabbia del deserto, energia solare e collanti naturali; aprendo un nuovo dibattito su quali siano i paesi veramente ricchi di risorse.

Solar Sinter by Markus Kayser - Present paradises - Royal college of Art

tutte le immagini in quest’articolo sono state scattate da Carla Zorzo

Cronache del Fuorisalone 2012 – I

Anche quest’anno il salone del mobile è arrivato con i suoi aperitivi, mostre, prodotti e nuvoloni…  Purtroppo sì il meteo è stato inclemente con le migliaia di visitatori che affamati d’ispirazione e di networking hanno invaso Milano; li ha attirati tra le sue fauci con un martedì graziato dal sole, solo per divertirsi poi ad alternare acquazzoni tropicali a pioggerelline londinesi, il tutto servito a temperature a dir poco invernali.

La città attraversa ora la settimana di punta del traffico di biglietti da visita e strette di mano, è tutto uno scambio di referenze, progetti, company profiles e visions, il tutto accompagnato dai meneghini aperitivi che nonostante la crisi rimangono numerosi e molto gettonati.

Io anche quest’anno ho recuperato dalla scarpiera le mie magiche Dr.Martens, fedeli compagne di maratone, che non temono le piscine naturali tipiche della stagione delle piogge nell’habitat Milanese; e mi sono equipaggiata di Macchina fotografica, piantina del Fuorisalone, bottiglietta d’acqua e borsone capiente per fare incetta di free magazines, volantini e appunto biglietti da visita. Quest’anno poi avevo anche i volantini di AFajolo da sparpagliare per la città:

Martedì come dicevo il tempo faceva ben sperare, c’era il sole e faceva caldo; ho staccato un po’ prima da lavoro e mi sono avviata verso via Savona e Zona Tortona, l’area hot del Fuorisalone.  Erano le 17.30 e prima ancora d’iniziare, la tappa fonamentale:

Un magico gelato alla gelateria Siciliana di via Gorizia, resisto a tutto, ma non ad un buon gelato!

Via Savona offre alcuni buoni spunti:

Proseguendo poi si viene catturati dal profumo di rosmarino che viene dall’ingresso di ORTOFABRICA, splendida location che ogni anno non delude, con i suoi progetti sostenibili e socialmente utili.

Continuando a percorrere la via sono poi entrata in uno spazio dove esponevano delle cucine, e lì ho trovato la frase del giorno:

Poi proseguendo verso materioteca due strane apparizioni:

Non ho ancora scoperto di che si tratti ma è innegabile che siano curiosi! Voi ne avete avvistati altri? Sapete per caso da chi sia stato organizzato?

A Materioteca (via savona, 97) ho poi incontrato Nicola Dalla Costa con la sua serie WOODROPE

e gli amici di A’USO con i loro mobili

Lì ho conosciuto i ragazzi di SLOWD – il design a km zero – è stato un’incontro molto interessante, la loro filosofia della produzione on-demand e a km zero sfruttando il potere della rete è molto vicina al principio di AFajolo e fa sempre piacere sentire che altri in Italia si stanno muovendo per dare una mano alle nostre ricchezze (designer e  artigiani).

Dopo cena ho lasciato la zona Tortona e mi sono spostata alla Statale per il party di Apertura di Interni. Parcheggiata la mia superbike mi sono faticosamente fatta largo tra la folla per raggiungere l’ingresso, mi stavo già preoccupando del fatto che non avrei visto niente vista la mole di gente accalcata ovunque quando arrivata alle scale mi sono resa conto che all’esterno avevano posizionato gli stand con i free drinks e che in realtà all’interno dell’università a confronto non c’era nessuno…

La statale di sera è sempre uno spettacolo!

Promuoversi online – il potere della stampa

Internet è democratica, chiunque può trovare uno spazio per esserci, o meglio può crearsi uno spazio per farsi trovare, un profilo in qualche social network, un blog, un sito; tutte opzioni molto accessibili, ma una volta online, che succede? Chi ci trova tra i miliardi di pagine esistenti?

Image

Se non siete la coca cola, Stark o Alberto Alessi difficilmente qualcuno vi seguirà su Twitter, cercherà il vostro portfolio o leggerà la vostra bio su LinkedIn. Gli utenti internet cercano contenuti, informazioni e servizi; il modo quindi di farsi trovare è inserirsi all’interno di quei contenuti che gli utenti cercano e sperare in quell’effetto serendipity che porta le persone giuste ad incuriosirsi e interessarsi a voi.

Consci di questa legge informatica ci siamo dati da fare e per aiutarvi a conquistare quella visibilità che può darvi delle chance, vi presentiamo quindi COMPOMOBILI.COM un portale online che due volte al mese ospiterà nella loro sessione progettisti i profili degli utenti di AFajolo!

www.compombili.com

Ma scopriamo meglio chi è compomobili e che cosa offre:

Inanzitutto il sito è la trasposizione digitale della rivista Dossier CompoMobili di Maggioli Editore, il trimestrale di componentistica, design e progettazione.

Il sito è un ricco bacino d’informazione che si rivolge a designer, progettisti e aziende pubblicando ogni giorno contenuti e novità su materiali, prodotti (superfici, componenti, mobili, finiture architettoniche e decorazioni), progettisti (voi) e naturalmente fiere ed eventi. L’obiettivo di Compomobili.com è quello di offrire notizie e aggiornamenti ad aziende e progettisti, permettendo lo sviluppo delle professionalità.

Nel portale poi ce la possibilità, registrandosi, di usufruire di alcuni servizi gratuiti tra cui la possibilità di scaricare i pdf dei fascicoli della rivista.

Tutti i siti Maggioli sono comunicanti e condividono alcuni argomenti, così da poter consentire a chi visita il portale di poter passare da un sito all’altro senza mai “uscire” dai nostri servizi professionali. Trovarsi in questo ricco bacino di contenuti professionali aumenta notevolmente le possibiltà di essere notati dalle persone giuste al momento giusto, nel vero stile AFajolo.

Infine qualche informazione su Maggioli Editore: il gruppo è specializzato nella creazione di contenuti per i diversi mondi professionali, come Pubblica Amministrazione, Libera Professione e Aziende, con più di 1.500 titoli a catalogo ed un incremento annuo di oltre 200 novità, 48 periodici specializzati, 30 prodotti software, 11 banche dati su Cd-Rom, 21 servizi internet, 12 newsletter telematiche. Un vero mastodonte dell’editoria.

www.maggioli.it

Jobs + Ive = Apple

 

Vi sembrerà incredibile, ma su 25 studenti, 3/4 dei quali utilizzano Laptop Apple o possiedono un iPhone, beh solo 4-5 conoscevano il nome di Jony Ive. Vedendo questa reazione ho capito che urgeva un Post in proposito.

Apple sarebbe il colosso che è se non ci fosse stato Jonathan Ive a collaborare con Steve Jobs?

Ebbene sì Ive è il designer autore del design inconfondibile dei prodotti marchiati con l’altrettanto inconfondibile mela. Oggi Ive è vicepresidente per il design industriale di Apple, per la quale ha collaborato come consulente dal 1992, poi assunto e da lì la scalata al successo. Fino alla morte di Jobs Ive è sempre rimasto nelle retrovie, ma nel mondo dei designer era comunque conosciuto.

Classe ’67, Ive è un vero designer, di quelli con la progettazione nel DNA. Fin da piccolo era affascinato dalla scoperta di come gli oggetti fossero fatti e come funzionassero.  Nell’85 s’iscrive al politecnico di Newcastle, dove si fa subito notare: durante un internship presso l’agenzia di consulenza di design Roberts Weaver Group, creò una penna che aveva una sfera intrappolata sul retro della penna. Questo dettaglio non aveva nessun senso funzionale, ma era pensato per offrire all’utilizzatore un anti-stress, un oggettino con cui giocherellare mentre si parla o si aspetta di scrivere qualcosa. Nello studio coniarono l’espressione ‘having Jony-ness’ per descrivere i prodotti che avevano quel plus emozionale per relazionarsi con l’utilizzatore ad un livello più profondo.

Ive è sempre stato un perfezionista, si dice che durante la sua tesi avesse invaso la sua camera con miriadi di modelli di un sistema di comunicazione a distanza per facilitare l’interazione delle maestre con gli alunni.


Vinse 2 volte la competition studentesca promossa dal Royal Society of Arts. Si laureò nell’89 poi entrò come designer presso la neonata Tangerine Design di Londra, per loro disegnava lavandini e arredobagno, ma non era tagliato per fare il consulente. Jony è un designer 100% e di conseguenza non sa vendersi… Ma quando lavori come consulente i clienti comprano prima te e poi le tue idee; Jony ad un certo punto ammise con il suo boss che si sentiva terribile a sviluppare idee di business, voleva solo potersi concentrare sulla manifattura del design.

“Fare qualcosa che sembra come se non fosse stata disegnato, perché è inevitabile” è una riflessione di Jonathan Ive. L’ispirazione di Jony per i prodotti Apple deriva da Dieter Rams, designer per Braun nei tempi d’oro dell’azienda. I progetti di Ive hanno come principi base la semplicità, la sostenibilità, e quel qualcosa in più, la capacità di dare spazio all’espressività delle persone senza limitarla.

 

“Non c’è progetto se non c’è concetto”

Progetto fa rima con Concetto mi ripeteva il mio professore Steffen Kaz nel suo corso di Design presso la Libera Università di Bolzano.

Al tempo non capivo quanto questo fosse rilevante, oggi, dopo aver scoperto il Business Design ed essermi startuppata ne ho finalmente colto il significato.

Design è Progetto e Progetto significa: pianificazione, concettualizzazione e applicazione. Il processo può essere bidirezionale, dall’interno verso l’esterno, dal concetto all’applicazione o viceversa, dall’esterno all’interno, ma il risultato finale sarà completamente diverso.
Partire dall’astratto e andare al concreto è spesso più complesso in quanto richiede una forte determinazione per non stirare troppo il concetto presi dalla smania di fare. Bisogna essere un po’ come un compasso, fissare un piede in un punto e poi spaziare con l’altro, ma se non si mantiene costante l’angolo sarà impossibile disegnare un cerchio perfetto. Ma è sicuramente l’approccio che permette le maggiori innovazioni e sperimentazioni.
Se nel brief decidiamo di voler progettare una sedia potremo solo immaginare variabili di sedie esistenti, ma se invece formuliamo il brief progettuale come “supporto per sedersi” alla fine potremmo arrivare ad avere una scala, una valigia, un cuscino, un’amaca,…

Come dice Bruce Mau: “il processo è più importante del risultato. Quando il risultato guida il processo, si potrà esplorare solo orizzonti in cui siamo già stati. Se il processo guida il risultato non sapremo dove stiamo andando, ma una volta arrivatici, ci sarà chiaro che era proprio dove volevamo arrivare”.

Proggettare per visioni quindi, più liberi concettualmente per esplorare orizzonti nuovi e sconosciuti, questo è fondamentale sia per i progettisti che a volte tendono ad essere troppo pratici e pragmatici ma soprattutto per gli imprenditori che si trovano a definire i nuovi brief progettuali, se chiediamo una figura chiusa e regolare, di 4 lati e 4 angoli potremo solo ricevere un quadrato, se invece riusciamo a cogliere la caratteristica astratta o la funzione che vogliamo ottenere da quella figura, potremo essere sorpresi da soluzioni innovative.

Vita da Designer – lotta di classe?

Navigando in rete sono incappata in una lettera aperta ai Creativi italiani, l’ho trovata davvero significante, nel bene e nel male e ho deciso di riportarla in parte e un po’ rielaborata, se vorrete leggere l’originale cliccate qui.

Cari creativi,

vi chiedo di leggere questo post.Parla di voi. Dopo, sarete un po’ incazzati. Forse, più motivati. Magari saprete cosa fare. Altrimenti, postate una canzone.

Ora passo al tu. Se appartieni al 94% di chi “non” possiede o dirige un’azienda di successo, con i riconoscimenti che ne derivano, contratti o dividendi, prorva a rispondere a queste domande:

LAVORATORE DIPENDENTE/A PROGETTO : Su quali forme di tutela puoi contare? Che prospettive ritieni di potere avere, superati i 50 anni, se non dovessi divenire titolare, dirigente, star acclamata? Se come ti ritrovassi a doverti reinserire sul mercato, o peggio a doverlo fare regolarmente progetto dopo progetto? E ancora, quali garanzie sanitarie, pensionistiche, di disoccupazione, di maternità hai a disposizione? Se hai un contratto a progetto, a chi ti puoi rivolgere per mutui o finanziamenti?

LIBERO PROFESSIONISTA/FREE LANCE: Che tutele hai sulla riscossione crediti? Quali spese scarichi? E gli utili corrispondono agli studi di settore? Stai iniziando ora… beh, quali aiuti hai ricevuto per lo start up?

PER TUTTI: se hai un’idea innovativa, chi è pronto ad ascoltarti? Che strumenti hai per proteggerla? Chi riconosce il tuo valore, e ti considera una forza importante e strategica? Chi ci rappresenta? Quale corrispondenza esiste tra le nostre idee, la nostra visione del mondo e delle cose, l’amore per il bello in tutte le sue forme, e il sistema Paese?

In questo scenario non si salvano neanche i designer “affermati”, se fai parte di quel 6%, chiediti quanto sei tutelato, e se non hai stampigliata da qualche parte la data di scadenza. Cosa succede se un fondo ti acquisisce e decide che non sei performante? Se litighi con soci, se soffri di ansia da prestazione, se il tuo mercato viene travolto dalla crisi, se improvvisamente ti pesa fare l’ennesima notte?

In Italia i “creativi”, semplicemente, non esistono. Non ci sono cifre che dicano quanti siano i professionisti che svolgono attività finalizzate alla creatività.

Non siamo identificati, rappresentati, tutelati, rispettati, valorizzati.

Facciamo un lavoro dove spesso l’anzianità  riduce la capacità competitiva, in balia di stereotipi che spesso rendono l’estero l’unica soluzione per praticare degnamente questa professione.

Facciamo un lavoro spesso anonimo,rinunciamo a molte tutele contrattuali (come gli orari canonici d’ufficio) sulla scia di quell’entusiasmo e disponibilità che ci lega alle nostre creazioni.

I creativi insieme alla ricerca tecnologica, rappresentiamo l’identità storica della nazione, il made in Italy, quello che ancora ci garantisce un briciolo di credibilità nel mondo; e siamo contemporaneamente gli innovatori, curiosi per natura, sperimentatori tecnologici, aperti verso internazionale ed il virtuale. Ma non siamo mai coinvolti nei processi decisionali sui grandi temi di questa società, lasciati ai tecnici, economisti, ingegneri, finanzieri,…

Chiedetevi: Le associazioni di categoria hanno ancora veramente senso? Un pubblicitario ha esigenze e problematiche veramente distanti da quelle di un grafico e di un architetto? Ha senso rinunciare al potenziale di una unica classe votata all’innovazione e alla creatività per tutelare le micro differenze di settore? O le ataviche rivalità tra creativi di serie A e B.

Siamo e siete un’unica entità, qualunque cosa facciate: creativi per pubblicità e eventi, copy, art, graphic & industrial designer, visualizer, web, comunicatori.
Ma anche artisti, autori, stilisti, scenografi, light designer, montatori, sceneggiatori, story editor, coreografi, registi, fotografi, progettisti, blogger, compositori, video maker, illustratori, costumisti, direttori artistici, curatori, artigiani di ricerca, traduttori, ghost writer… Nelle grandi città, come in provincia, dove maggiori sono le difficoltà.

Il cambiamento che vi propongo è di mentalità e di visione.

Occorre spostare il livello di percezione/visibilità. Piantarla di fare gli individualisti. Divenire massa critica, movimento di opinione, influencer. Smettere di pensare all’orticello per acquisire quella che il buon Pasolini chiamava “coscienza di classe”.

Primo passo, renderci visibili, sollevando il problema. Al pari di quanto hanno fatto pochi anni fa i nostri colleghi sceneggiatori americani.

Per chiedere cosa? Ascolto. Di avere un ruolo consultivo e decisionale.

Il paese sta reagendo alle richieste delle industrie, le potenti realtà manifatturiere, quelle che producono beni materiali, ma che dire dell’immateriale? Il nostro Paese sta svendendo educazione, cultura e creatività per alimentare i meccanismi del materiale e monetario. La realtà è che non ci sono buoni o cattivi, non c’è qualcosa che funzioni e qualcosa che si possa sacrificare, non c’è produzione senza innovazione, non ci sono creativi senza imprese, non ci sarà competitività se non salvaguardiamo la sperimentazione e così via.

Il sistema non può salvaguardarci se noi in primo luogo non abbiamo una coscenza comune delle priorità da perseguire.

Riflettiamo gente, riflettiamo…

http://www.creativi.eu/

Se anche Fendi e Maserati promuovono l’artigianato, è proprio ora di agire

Si chiama Progetto Whispered l’interessante iniziativa realizzata da Fendi in collaborazione con Maserati. Questi due grandi nomi del panorama industriale d’eccellenza italiano si sono unite per dare visibilità ad altre eccellenze manifatturiere.

Tutto è iniziato nel 2010 con la pubblicazione di ‘The Whispered Directory di Artigianato: Una guida Contemporanea alla capacità Handmaking italiano – Volo. I’ una raccolta di realtà di nicchia, piccoli aritigiani, piccole boutique, ma anche ristoranti, realtà che hanno preferito mantenere alti standard qualitativi investendo nelle ore di lavorazione e nella manodopera specializzata rispetto ad altre realtà che hanno preferito ottenere grandi quantitativi riducendo i tempi di produzione. (Questo concetto ben si ricollega alla teoria dello sviluppo sostenibile fatta da Gabriele Centazzo presidente di Valcuncine di cui vi parlavo nel mio precendete post: Parlando del futuro che ci auguriamo)

Oggi a quella prima pubblicazione ne è seguita una seconda e la creazione di un sito internet in cui visionare le eccellenze citate. Il progetto ha quindi preso vita, da una prima esperienza, una semplice pubblicazione test ne è nata una collaborazione che ha spostato la comunicazione dalla carta alla strada. The Whispered è diventato un Documovie The Whispered Italian Grand Tour” che promuove contemporaneamente le due griffe e il nostro paese. Silvia Venturini Fendi (presidente di AltaRoma) è infatti salita al volante della nuova Maserati Gran Cabrio rivestita in esclusiva da Fendi ed ha attraversato l’Italia per visitare le botteghe, i laboratori e le aziende che hanno fatto la storia del made in Italy passando attraverso i meravigliosi centri storici della tradizione.
Il Roadmovie è suddiviso in quattro puntate di 25 minuti ispirate ai quattro elementi: aria, fuoco, acqua e aria; ogni elemento viene poi rappresentato da una “celebrity” del made in Italy: Riccardo Illy, presidente del Gruppo Illy; Giovanni Soldini, velista italiano divenuto famoso soprattutto per le sue navigazioni solitarie; Federico Bonelli, primo ballerino del London Royal Ballet; Carlo Cracco, famoso cuoco italiano e l’attore Luca Calvani.

Che dire, davvero una bella inziativa! Qualcuno potrà obiettare che in fondo è l’ennesima trovata di marketing, e questo è inngabile, ma trovo comunque lodevole il fatto che due marchi così affermati si siano uniti per condividere parte del loro brand value con realtà molto minori e più sconosciute sul panorama internazionale.

Certo è che se anche dei grandi marchi come Fendi e Maserati hanno sentito la necessità di rilanciare il nostro paese, partendo dalle sue bellezze, il saper fare, i paesaggi, la cucina,… è davvero giunto il momento di muoversi. Si sta diffondendo la consapevolezza che il valore del nostro paese è nel suo complesso, non esisterebbe Made in Italy senza La bella vita, la buona cucina, le città d’arte,… le piccole botteghe artigiane sono ciò che da credibilità alle scarpe in cuoio di Fendi, i road trip sul Lago di Garda la vera aspirazione di chi possiede una Maserati.

Forse finalmente il concetto di fare sistema si sta distaccando dal concetto corrotto di lobby e mafia per creare un senso di nazione e di appartenenza ad un paese bello e che merita di essere salvato.

Vita da designer – concorrenza spietata

Durante lo sviluppo del mio progetto mi sono trovata a chiedermi quanti potenziali Designer ci siano ogni anno iscritti alle varie università. Il risultato della ricerca è stato a dir poco sorprendente o scoraggiante a seconda se voi siate o meno tra questi aspiranti designer.

Ho analizzato i corsi di industrial design e fashion/accessories design dei principali istituti di formazione del Nord Italia (non per discriminazione ideologica, ma per motivi pratici di progetto) che sono: LUB (Bolzano), IUAV (Venezia), SID (Padova), IDP (Verona), politecnico e IED (Milano); senza contare quindi graphic e web designer; corsi post laurea come Domus Academy (Milano) che fornisce solo corsi di master; l’istituto Marangoni, di cui non sono riuscita a reperire i dati d’immatricolazione e i corsi di design navale di Genova e Milano.

Dei sei istituti analizzati ho recuperato il numero di studenti ammessi al primo anno e ho fatto una proiezione sui 3 anni (con un tasso di abbandono al 10%) il risultato della proiezione è che ogni anno ci sono 4.572 giovani che studiano per diventare designer. Potete obbiettare che questi giovani termineranno la formazione in momenti diversi e quindi il mercato del lavoro potrà assorbirli gradualmente, ma da questi dati ogni anno si laureano circa 1.134 designer, in pratica un piccolo esercito di creativi tutti cresciuti ammirando i grandi designer del passato italiano e le aziende che hanno fatto grande il made in Italy nel mondo (Giuggiaro, Pininfarina, Kartell, Moroso, Artemide, Alessi, Armani, Valentino, D&G,…). 1.134 curriculum e portfoli che intasano le caselle di posta di questi miti e che raramente vengono presi in considerazione. Ci sono aziende come Alessi che ogni giorno ricevono almeno un paio di progetti completamente gratuiti, inviati da designer che pur di avere un pezzo prodotto da Alessi sono disposti a chiudere un occhio sulla, ora più che mai dibattuta, questione del copyright. Considerando poi che queste aziende fanno gola anche ai designer stranieri i numeri degli aspiranti designer aumentano esponenzialmente.

Ma non disperate, l’Italia ha sempre  qualche risorsa nel cassetto, c’è infatti una nota di speranza per questi giovani entusiasti. In Italia ci sono 355.341 aziende manifatturiere tra tessili, fashion, pelletteria e pelliccia, falegnamerie, Cartotecniche, industrie lavoratrice di materie plastiche e gomma, metallurgiche, mobilifici e altro. Ovviamente di queste il 65% hanno meno di 10 dipendenti e lavorano su realtà locali, ma immagino sarebbero molto più interessate ai giovani talenti rispetto a studi famosi e affermati dove la prassi è avere un continuo turnover di giovani stagisti per mantenere fresco l’ambiente.